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Autosvezzamento

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Autosvezzamento           

C’era una volta una ricercatrice di Chicago, tale Clara Davis, sconosciuta ai più, che si mise in testa di scoprire se i bambini in epoca di cambiamento delle loro abitudini alimentari fossero in grado di regolare, autonomamente e in qualche modo, l’assunzione di cibo.

Questa volontà nasceva dalla necessità di affrontare e possibilmente risolvere i numerosissimi problemi di appetito e di qualità della dieta presenti nei bambini. Il suo dubbio era che i bambini mangiassero poco e male, non per loro spontanea volontà, ma perché costretti a rispettare rigidamente le dosi che la scienza nutrizionale dell’epoca considerava adeguate per loro, impedendo loro la libera sperimentazione e, così, privandoli di una sorta di primitiva, istintiva capacità di aggiustare la dieta a seconda delle proprie individuali necessità. Cercò allora di ricreare una situazione in cui i bambini, 15 in tutto, di età intorno ai sei mesi, potessero procurarsi liberamente il cibo. Certo, quello che a lei riuscì di fare allora, forse oggi non sarebbe neanche proponibile, ma, io credo, solo per una bigotta cecità scientifica e non perché eticamente inaccettabile. Furono scelti 32 alimenti diversi, dieci di origine animale, vale a dire latte, pesce e carne, frattaglie comprese, e gli altri di origine vegetale, sia cotti che crudi, più acqua e sale, tutti al naturale, cioè non mescolati con altri ingredienti, e ognuno servito su un piatto proprio. Ai benpensanti, che un bambino di quella età si possa alimentare in tal modo, farebbe accapponare la pelle; fatto è che, invece, i bambini studiati, una volta imbandita la tavola, cominciavano prima a mostrare interesse per ogni cosa che vedevano, e non solo il cibo ma anche la tovaglia, i piatti, le posate e tutto il resto, e poi ad indicare questo o quell’altro. A questo punto, e solo a questo punto, il personale di assistenza offriva al bambino quanto richiesto. Lui accettava, assaporava, e poi richiedeva la stessa cosa o cambiava obiettivo. Ogni bambino veniva assecondato qualunque cosa chiedesse, per quanto strano e “non ortodosso” potesse apparire il pasto sulla base delle indicazioni ufficiali dell’epoca (non molto dissimili dalle attuali, in verità). Pian piano ogni bambino sviluppò i suoi gusti e le sue preferenze, senza per questo restringere di molto la varietà dei cibi richiesti. Questo avveniva almeno tre volte al giorno, e l’esperimento fu portato avanti per sei anni, annotando, bambino per bambino, cosa e quanto mangiasse.  

E vissero tutti felici e contenti               

I lettori assidui di UPPA già immagineranno come è andata a finire. La signora Davis scrive nelle sue conclusioni: «Tutti i bambini sono riusciti ad alimentarsi correttamente; tutti avevano un poderoso appetito; tutti sono cresciuti bene». Pensate che furono analizzati, allora senza computer, circa 36.000 pasti, valutando il rapporto fra alimenti vegetali e animali, calorie, percentuali di proteine, grassi e zuccheri e, seppure in modo indiretto, l’adeguatezza dell’apporto di vitamine e minerali. Tutto risultò ricadere nei limiti definiti corretti dalle tabelle nutrizionali e tutto era stato, alla fin fine, frutto delle scelte spontanee dei bambini. Ma, come lo chiama maliziosamente la stessa ricercatrice, c’è il trucco: la disponibilità di soli alimenti “sani”. E nel caso specifico, anche più sani di quanto chiunque oggi pretenderebbe, come abbiamo detto sopra. Addirittura sempre al naturale, senza quegli accorgimenti culinari, anche limitati, che non negherebbe neanche il più esigente specialista di alimentazione infantile. Questo dimostra due cose: i bambini mangiano, e apprezzano il mangiare (tutto indistintamente, a dispetto delle favole sull’avversione per verdure o cibi strani), senza che ci si debba, per forza, arrabattare ad escogitare ricette invitanti (o, peggio ancora, trabocchetti gastronomici). Se lo si fa, deve essere per il piacere, culturale e gustativo, di farlo; chi ha la responsabilità del bambino, nell’esperienza descritta il ricercatore, in famiglia i genitori, deve rendere disponibili alimenti salutari in sufficiente varietà. E qui, forse qualche volta o forse spesso, casca l’asino, che poi, senza offesa, sareste voi genitori.

Niente colpe                                                                 

È indiscutibile che la conoscenza di una corretta alimentazione non è così diffusa tra i genitori come sarebbe augurabile. Spesso sono i bambini della scuola dell’obbligo che, diligentemente, portano a casa le indicazioni ricevute da volenterose insegnanti, senza però che si aprano brecce significative nelle cattive abitudini che tendiamo a portarci dietro fin dall’infanzia. Lo studio della Davis si conclude infatti così: «I bambini debbono poter scegliere gli alimenti nelle mani dei loro genitori». Avete quindi una grossa, enorme responsabilità, e non potete lavarvene le mani con pochi mesi (fino a un anno? uno e mezzo? due?) di dieta milligrammata. Prima o poi vostro figlio mangerà con voi, e potrebbero essere guai per lui, come talvolta lo sono già per voi. Questa favolosa esperienza, disgraziatamente, non è riuscita, vista la situazione italiana passata e recente, a valicare l’oceano o, se l’ha fatto, deve essere miseramente naufragata su qualche spiaggia inaccessibile. E ciò, nonostante altri ricercatori avessero continuato e completato questi “esperimenti” con bambini della stessa età, ed anche più grandi, arrivando alle identiche conclusioni, ed aggiungendo altre conoscenze utili, a chi lo avesse voluto, per risolvere tutti i nostri dubbi in merito al comportamento più idoneo da tenere in famiglia riguardo l’alimentazione dei bambini. Qualcuno più acculturato potrebbe dire che si tratta di niente di trascendentale, e spesso tutto riportabile al buon senso e a qualche proverbio della bisnonna; però, vi garantisco, non è poco. Non una semplice affermazione, ma il risultato di una seria ricerca; il che vuol dire inattaccabile dalle chiacchiere e dalle opinioni di chicchessia.

E l’irrinunciabile brodo vegetale?                                  

Ed ecco allora dimostrata l’inutilità di graduare l’introduzione dei vari alimenti per il timore di allergie, la sciocchezza (lo dice la parola stessa) di eliminare completamente il sale, l’innocuità e l’apprezzamento dei cibi piccanti, peperoncino incluso. E, soprattutto, smentita l’utilità, anzi sottolineata la pericolosità, in termini di rifiuto di una opportuna varietà di alimenti, e di insufficiente o eccessiva crescita di peso, di tutte le tattiche di convincimento, dalle lusinghe alle minacce, dai piatti colorati a quelli più ghiotti, e così via, messe in opera da genitori, purtroppo spesso mal consigliati da noi stessi pediatri, per indurre il bambino a mangiare. L’effetto è esattamente l‘opposto di quello sperato. In tutta questa storia, in definitiva, il messaggio chiave, come si dice nelle riviste scientifiche serie, è quanto sia importante, ancora una volta, aiutare i genitori a capire il vero valore della vita con i figli, per imparare ad apprezzarli e goderseli. E ve li godrete quando vi dirà, a suo modo: «Fatemi assaggiare che sono pronto». Che poi non vuol dire altro che: «Mi fido tanto che, se lo mangiate voi, allora posso mangiarlo anch’io». Il problema è che, detto così, è troppo semplice per sembrare vero.

Sette semplici  regole

  • Tenere sempre il bambino a tavola con i genitori, non appena è in grado di stare seduto con minimo appoggio sul seggiolone o in braccio
  • alimentare con solo latte fino al compimento dei sei mesi, come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
  • aspettare le richieste di cibo del bambino, di solito il tentativo di raggiungerlo con le mani o uno sguardo sostenuto ed eccitato
  • soddisfare qualsiasi sua richiesta, sempre e ovunque, purché si tratti di cibo idoneo a giudizio dei genitori
  • smettere gli assaggi se il bambino smette di chiederli, o se il pasto della famiglia è finito
  • non cambiare ritmi e durata dei pasti dei genitori: il bambino deve, necessariamente, e lo farà senza alcuno sforzo, prendere il loro ritmo
  • l’allattamento materno prosegue a richiesta fin quando la mamma e il bambino saranno, entrambi, d’accordo a continuarlo.  

 Lucio Piermarini Pediatra, Terni Lucio Piermarini è nato a Terni nel 1947. Dopo aver lavorato come pediatra ospedaliero, per circa vent’anni si è occupato di formazione delle future mamme nell’ambito dei corsi di preparazione alla nascita presso il Consultorio Città Giardino di Terni. Tutti i giorni pedala per un’ora e ha una passione per la buona cucina umbra. Nel 2009 ha pubblicato per Bonomi il libro Io mi svezzo da solo, dialoghi sullo svezzamento

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da www.uppa.it


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